DIFFICILE NELLA SUA SEMPLICITÀ…LA ‘CACIO E PEPE’ RACCONTATA DA ALDO FIORDELLI

Nell’immaginario collettivo degli amanti della cucina romana appare spesso come la sorella minore, sempre dopo la carbonara, l’amatriciana e la gricia. Alcune volte derubricata al ma che ce vo’?!, altre snobbata dalle celebrazioni social. E invece no, per niente: la cacio e pepe è una delle paste più difficili da realizzare – proprio nella sua semplicità – dove mantecatura ed esecuzione svelano il manico dello chef. A raccontare con piglio giornalistico passato e presente ci ha pensato il critico enogastronomico Aldo Fiordelli, con la prefazione del gastronauta Davide Paolini. ‘Cacio & pepe, un cult romano interpretato dai migliori osti e chef’, con foto inedite, svela quale sia la migliore, le sue interpretazioni tradizionali e contemporanee, se mantecata con Pecorino romano Dop o mix di formaggi, se tonnarelli o spaghetti, quali le versioni pop e quali stellate. Dagli ingredienti alla selezione dei locali, tra ristoranti ed osterie romane, italiane, nel mondo: 25 a Roma, 12 fuori città ma anche a Londra, Parigi e Dubai. A ricordare il viaggio intorno alla tradizione della cacio e pepe è Paolini nella sua introduzione: “Si narra che durante la transumanza, i pastori dell’agro romano riempissero la bisaccia con alcuni alimenti a lunga conservazione, tra cui non mancava mai un pezzo di cacio pecorino (ovviamente), un sacchetto di pepe e spaghetti. Così nelle serate a cielo aperto, col fuoco acceso, in attesa che l’acqua bollisse – prima nella campagna laziale, poi anche sui monti abruzzesi e umbri – i pastori con il loro carico di formaggio e pasta devono aver inventato la cacio e pepe. Come e quando, poi, questo piatto sia atterrato nelle osterie e nelle case di Roma, resta un mistero”.

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